Il miracolo di San Giuseppe

Una pioggia di monete

Fagioli, broccoli di rape, vermicelli con le alici, maccheroni con la mollica, baccalà origanato, calzoni con pasta di miele e ceci… Niente, quell’anno non se ne sarebbe parlato. Dopo circa un secolo, era arrivato il momento che non sarebbe mai dovuto arrivare per quella casa. Il tempo di dire basta alla tradizione del convito, della devozione a San Giuseppe. Amici e parenti e poveri che dopo l’inverno tornavano immancabilmente a bussare alla porta, l’avrebbero trovata chiusa.

E chiusa sarebbe rimasta. E come avrebbero potuto aprirla se la grandine, la malattia e i figli costretti a traversar l’oceano in cerca di che vivere avevano spogliato la casa? Con che cosa avrebbero dovuto imbandirlo, il convito? La pila dell’olio, le botti di vino, il cassone del grano: tutti vuoti.

I paesani sapevano. Alla padrona di casa non restava che passare le giornate di vigilia in chiesa in adorazione del Santissimo Sacramento, lei che negli anni passati non trovava requie a mondare faglioli, scegliere rape, impastare il pane per la mollica, dirigere le stuolo di comari per casa. Così il marito. Trascinava mestamente i suoi passi come l’ombra dell’uomo che indaffarato a travasare vino, a trasportar legna per il focolare e il forno, a correre a Campobasso per la miglior partita di baccalà, trovava a malapena la mezz’ora per confessarsi e comunicarsi nella messa per soli uomini, la sera prima della festa.

Pregava la moglie, pregava il marito: – Purtroppo è andata così. Perdonaci San Giuseppe!

E San Giuseppe non solo li perdonò. Volle imprimere sulla loro casa desolata il segno della sua paterna benevolenza. Quale non fu la loro sorpresa quando, al rientro delle “Quarant’ore”, trovarono sul pavimento della cucina una pioggia di monete di rame. Non una fortuna: giusto il denaro per approntare in tutta fretta il convito degno della tradizione di famiglia e accogliere con lieto viso gli ospiti di sempre.

Il miracolo di San Giuseppe, si disse in paese. Un miracolo che si ripeté negli anni successivi con le rimesse dei figli all’estero. Ma ci fu anche chi, meno devoto degli altri, tolse la paternità del miracolo a San Giuseppe e l’assegnò a un misterioso benefattore. Sia pure. Non fu meno mirabile il prodigio se quell’uomo, dopo aver lanciato le monete di rame dalla porticina del gatto, scelse di rimanere per sempre nell’ombra, rinunciando al piacere di godere della riconoscenza dei vicini e del plauso dei compaesani.

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33 commenti su “Il miracolo di San Giuseppe

  1. Anchise1 il said:

    Bellissima pagina rievocativa della bella festa religiosa di agape fraterna. Un analogo miracolo di solidarietà si ripeteva puntualmente ogni anno. Infatti, era fondamentale la collaborazione di parenti e vicini nel concorrere alla buona riuscita del pranzo, donando non solo giorni di lavoro per la preparazione del pranzo ma anche olio, verdura, fagioli, frutta e mettendo a disposizione sedie e tavoli per l’occasione.

    Negli ultimi tempi era occasione ghiotta per rimettere piede nel passato gastronomico degli avi.

  2. anonimo il said:

    Solo per dire che mi ha fatto piacere leggere questo fatto che so realmente accaduto.

    Aggiuno che ho scoperto da poco temmpo che i maccheroni per la mollica si chiamano tecnicamente perciati o perciatelli, in dialetto (mbricciatelli). Come i toresi sanno sono molto più grossi dei bucatini.

    GS

  3. GiMascia il said:

    Mi fa piacere pubblicare qui una galleria di foto, gia presenti in ToroWeb, scattate da Sandro Nazzario, in occasione della festa di San Giuseppe 2004.

    Buon San Giuseppe a tutti

    Giovanni



    Un altarino a San Giuseppe e alla Sacra famiglia



    Una tavola pronta ad accogliere i convitati



    Pignate di fagioli



    Una tiella di rape, ben oliate



    Maccheroni con la mollica



    Baccala “arracanato”



    Una “spasetta” di calzoni

  4. bucciadimela il said:

    Bello come sempre il racconto, con la sua chiusa morale rasserenante, e magnifiche le foto. La cucina regionale mi incanta sempre, e di quella del centro-sud ho ricordi deliziosi.

  5. MIKROKOSMOS il said:

    … puf… puf… eccomi, sono arrivata… certo che mi hai fatto lavorare come una matta… ho cercato a destra ed a manca… confesso la mia ignoranza riguardo alle tradizioni popolari della regione in cui risiedo (Friuli-Venezia Giulia) relative alla festa di San Giuseppe (19 marzo)… riporto qui di seguito quelle che sono riuscita a trovare, scusandomi sin d’ora se le informazioni non saranno completamente esaustive…

    “www.infoanziani.it/archivio/notizie6pag/46.html”: “A cura di Magda Minotti Franzil – Marzo d’altri tempi”

    “D’autùn e in marz, la gnot e il dî si spart ”

    Marzo, infatti, con l’equinozio si apre alla primavera e il contadino che segue con ansia l’alternarsi delle lune e delle stagioni, continua ora con maggior intensità la preparazione dei terreni da seminare.

    Si portano nelle aie gli eventuali covoni di soreâl rimasti nei campi, mentre le stoppie (s’cianòs) vengono interrati.

    E’ d’obbligo per leggeche per i primi giorni del mese siano eliminate le canne secche di mais della precedente stagione. Esse potrebbero, infatti, contenere larve di piralide , grande divoratrice di blave.

    La terra, ormai, ‘e vâ in amôr e si pò spandi, sopra quelle zolle che hanno imprigionato il possibile flagello del mais, chel ledàn madûr che era stato portato nei campi il mese precedente , ammucchiato in mussulìns.

    Il terreno è ora pronto alle semine di aprile quando la bella stagione sarà ben definita.

    Ai nostri giorni la legge proibisce di spandi ledàn senza autorizzazione del Comune di appartenenza e de Sanitàrie che deve scortare i carri colmi di quel concime naturale, fino ai ciàmps di coltâ.

    Chiudo gli occhi e mi vedo bambina. Con una forca che mi superava di due altezze, aiutavo la nonna a spandi per fertilizzare il terreno in cui si sarebbero seminate lis patatis… Piccola cosa rispetto a quanto facevano i contadini, ma sufficiente affinchè le mani ed i piedi , in particolare, venissero a contatto con quel concentrato di azoto e humus che così bene avrebbe fatto alle colture…

    Non c’erano né guanti né stivali di gomma per proteggere gli arti.

    Unica paura era quella di un eventuale contatto cun lis buiàcis di cavallo che, pur essendo super-concimanti, potevano trasmettere le spore del tetano.

    La campagna, in questo periodo, era a lungo pervasa dall’odore pungente del “concime”.

    Quando osavo dire qualcosa a questo proposito, mi si diceva che quello era il vero odôr di sàn, di ciò, quindi, che avrebbe favorito la crescita di cibo ottimo, profumato di genuinità e freschezza!

    Marzo: primo mese dell’ anno per gli antichi Romani. Lo avevano chiamato così in onore di Marte che, già dio della vegetazione, era divenuto dio delle guerra.

    Marzo: simbolo delle lotte per il passaggio di potere tra l’inverno e la primavera….

    Marzo pazzerello: mese di continui contrasti metereologici: ecco il sole e poi, improvvisamente, la pioggia…..

    Marzo: nonostante le incertezze del tempo, mês de viarte, dell’ attività e dell’apertura alla vita…

    I riti propiziatori alla nuova vita della natura erano molteplici e coloriti.

    Tra essi c’era quello curioso di mostrare il deretano al sole, rivoltarsi quasi nudi sulle zolle o simulare un accoppiamento su esse.

    Nel Friuli occidentale ed anche nella zona di Latisana, le ragazze solevano rivolgere i glutei nudi verso il sole dicendo :

    ”Mars sì, mars no, tènzimi il cûl ma ‘l mostàs no!”

    Questo atto, oltre ad essere propiziatorio per la fertilità dei campi, era un atto scaramantico al fine di proteggersi dall’abbronzatura e dalle lentiggini in volto, derivate dall’esposizione al sole durante il lavoro nei campi.

    Allora non era di moda la tintarella e le signore chic, dovevano avere la pelle di…luna!

    Tutto ciò fa riflettere su come queste manifestazioni profane e spinte, fossero così radicate nei nostri avi, pur profondamente religiosi e rispettosi ……

    I vons anche in questo mese di rinascita, prevedevano le situazioni atmosferiche applicando la legge non scritta e così, se il 10 marzo festa dei santi Martiri c’era vento, sicuramente esso avrebbe soffiato per altri 40 giorni.

    Ed ancora:

    “L’ àjar di Marz al nete il beârz”

    “Marz al marcìs, avrîl al sepelìs “

    “Tàntis rosàdis di Marz, tàntis plòis di Avrîl”

    “Marz fumatôs, lùi burascjôs”

    “Marz sut, Avrîl bagnât, mai temprât, beât chel che al à ben semenât!”

    Per quanto riguardava lis voris di fâ, si ricordava che a S.Giuseppe (19/ 3), protettore della buona morte dei moribondi, era tempo di pastanâ lis côzzis e lis patàtis. Queste conservate in luogo asciutto, buio e fresco, si tagliavano in modo che in ogni pezzo ci fossero almeno dòi voi, quindi si procedeva alla “semina”.

    Le fasi della luna regolavano come sempre, le attività della vita contadina e non. Da qui l’importanza dal lunari che con la viàrte, acquisiva maggior importanza.

    Si raccomandava di seminare le piante da taglio e da seme con la lune gnòve, mentre il vècjo di lune (calante) favoriva le altre semine ed i trapianti.

    Non parliamo poi dell’ influsso delle fasi lunari sui i vini o sul taglio dei capelli o sui parti des fèminis e des bèstis. In questi ultimi casi, la lune plène era… determinante.

    “Tal mês di Marz ogni gjalìne e fâs il so sfuàrz”

    Così lis massàris, solitamente alla fine del mese, potevano mettere a covare le uova fecondate. E le aie si sarebbero riempite di teneri batuffoli pigolanti, ulteriore simbolo di ripresa della vita….

    E le donne, ancora, quasi per ribadire il concetto della rinascita, “accoppiavano” le uova sode alle prime verdure di campo.

    Il sclopit (selene), la tale (tarassaco), la lidrichesse (dente di leone) si aggiungevano alle solite verze o al lidrìc cul poc.

    I nostri vecchi, per ricordare l’abbondanza di uova che portava marzo, chiamavano san Giuseppe “fritaiòn” e il 19 del mese, con le uova sode e la frittata, iniziavano le prime scampagnate con la merenda appresso.

    Quel giorno, infatti, era una festa comandata e, dopo la Messa del patrono degli artigiani e protettore della buona morte, c’era l’usanza di fâ la prime mirìnde tai prâs.

    Per i bambini ricominciava il tempo dei lunghi giochi all’aperto: pìndul- pàndul, cavalète, ghega…

    Dopo questa importante festa, sot de lòbie che li proteggeva ancora, comparivano i primi “vasi” cui canelòns o canelàs. Erano stati messi a riparo dal gelo invernale in te stale dopo essere stati, a volte, stradicati ed appesi con le radici in su…

    Quando a marzo comparivano i primi teneri nuovi getti ( ‘e butìn fûr ), si trapiantavano, solitamente, in grandi barattoli di recupero poichè i vasi di terracotta costavano troppo.

    La terra era mescolata ai sbìs des gjalìnis e non dovevano venire a contatto diretto delle radici o delle talee, par no brusàlis. Quel concime avrebbe fatto vegetare e fiorire meravigliosamente non solo i gerani, ma anche i parigìns, i violârs e i garòfui !

    Marzo, rispetto a febbraio, è povero di proverbi legati ai santi del mese:

    “ A san Prospar ( 2/3) no j pâr di gjavâ cumò il tabâr”.

    “ A san Tomâs ( 7/3 ) il frêt al va in pâs”.

    “ Buìne anàde ‘e ven se a san Josèf (19/3 ) al è serèn”.

    “Se a san Josèf il cjàmp s’ injàrbe, al mus di sigûr no j cres la barbe”

    “ A san Benedèt (21/3) l’ àjar al pâr un soflèt”

    “A san Benedèt (21/3) la sisìle ‘e passe il tet; passe o no passe, il frêt al lasse”.

    Per san Benedetto tutti aspettavamo il ritorno des sisìlis che avevano lasciato i loro nidi sot dal tet e te lòbie.

    Era una festa riscoprirle e non vederle era di cattivo auspicio.

    Noi bambini stavamo spesso seduti, con il naso in su ad aspettare…

    Dopo in ca che ti sospìri,

    che ti clàmi di lontàn!

    Benvignùde ,cisilùte,

    benvignùde àncje chest an!

    ………

    G. B. Gallerio

    La domenica seguente il primo plenilunio dopo il 22 marzo è la data, fissata con calcoli sulla base delle fasi lunari, in cui cade la Pasqua.

    Il concilio di Nicea nel IV° secolo d. C., ha stabilito questa regola. Pasqua, quindi, può cadere tra san Benedetto (21/3) e san Marco (25/4).

    Quest’ultima data sarebbe veramente nefasta poiché coinciderebbe con la…. fine del mondo!

    A ricordare questa remota possibilità catastrofica, c’è un detto dei nostri vecchi che recita così:

    “Quando san Giorgio Iddio crocefiggerà ( 23/4 ),

    che san Marco lo resusciterà (25/4),

    che san Giovanni ( 24/6) lo porterà,

    la fine del mondo arriverà!”.

    Stiamo tranquilli, non potrà mai accadere nulla di simile!

  6. MIKROKOSMOS il said:

    … e poi ho trovato la segnalazione di queste sagre e feste (provincia di Udine e Pordenone):

    Pavia di Udine (10-12 marzo e 16-19 marzo): Sagra di San Giuseppe a Percoto

    Tricesimo (Laipacco) (11-12 marzo e 18-19 marzo): Sagra di San Giuseppe

    Buia (17-19 marzo): Sagra di San Giuseppe

    Nimis (17-19 marzo): Festa di San Giuseppe

    Porcia (19 marzo): Festeggiamenti di San Giuseppe – Rogo della Vecja

    Venzone (19 marzo): Sagra di San Giuseppe – (Sagra Gastronomica particolare)

    Moggio Udinese (19 marzo): Sagra di San Giuseppe

    Cassacco (19 marzo): Sagra di San Giuseppe

  7. MIKROKOSMOS il said:

    …ed esclusivamente per la Sagra che si tiene a Venzone ho reperito la seguente informazione:

    “http://www.finesettimana.it/festa.asp?id=21982”

    Il 19 marzo 2006, la Pro Loco di Portis, piccola frazione del Comune di Venzone organizza la Sagra di San Giuseppe. Una Ricorrenza tradizionale che celebra il Santo attraverso la Santa Messa al termine della quale viene servito il piatto augurale lidric cul poc e ûs dûrs, ossia radicchio di campo e uova sode. Con l’occasione si può visitare la deliziosa località di Venzone che nel 1965 è stata dichiarata Monumento Nazionale di grande interesse storico ed artistico.

    … purtroppo non sono riuscita a trovare indicazioni riguardanti manifestazioni simili per le province di Gorizia e Trieste… immagino che ve ne siano, ma la mia ricerca sul web non mi ha dato alcun esito….

    … non so se era quello che ti interessava e che cercavi… ho cercato di fare del mio meglio…

  8. bandierabianca il said:

    ciao paesanino

    non ci sono occasioni di questo tipo, almeno dalle mie parti e di mia conoscenza

    mi piace leggerti e passare da te anche per questo

    ascoltare storie vecchie, leggende e miti che poi, sono nuovi

    grazie per la possibilità che mi dai

    un abbraccio

  9. bandierabianca il said:

    alcun disturbo paesanino 🙂

    con vero piacere

    e mi auguro anche che pur ignorandole io, ne esistano comunque dalle mie parti 🙂 in quel di modena

    un abbraccio

    a presto

  10. StellaCeleste il said:

    Da noi, si usa regalare un pane particolare, poi si comprano le zeppole di riso col miele.

    Un caro saluto

    Stellina

  11. Algonuevo il said:

    Paesanino io credo che ci siano due cose al nord, che hanno questa origine e sicuramente una delle due è nata esclusivamente per questo motivo.

    Parlo ovviamente di polenta e gnocchi.

    uno di questi due piatti, pare, fu inventato proprio durante una carestia, forse la peste del 1600, per dare da mangiare ai poveri. Credo si tratti degli gnocchi, che si festeggiano -almeno a Verona – il Venerdi’ Gnocolar.

    Ma non posso giurarci, faro’ delle ricerche.

    Un piccolo salto oltre mare: in NordAfrica è tradizione tipica – ed adesso anche a Parigi a causa dell’immigrazione magrebina – la “soupe populaire”. Fa parte della tradizione musulmana, nella cuale l’elemosina e la carità giocano un ruolo fondamentale. In particolare couscous ed altri piatti di questo tipo sono offerti il venerdi per i più poveri.

    A Parigi, nel bar dove vado io che è un bar Kabyl (Algerini non arabi delle montagne) il venerdi ed il sabato sera il couscous è gratis. Si dice che una madre di famiglia che abitava sopra al bar avesse iniziato questa tradizione per ringraziare Allah del fatto che il figlioletto, pur essendo caduto sul selciato dalla finestra davanti al bar, non fosse morto. Vai a sapere, ma comunque il couscous è gratis, ma da bere lo paghi… 😉

    Un abbraccio

    Algonuevo

  12. anonimo il said:

    Carissimo, le mie parti sono il Veneto, tra Venezia dove sono nata e la provincia padovana dove vivo, ma non mi risulta (forse c’è, e non ne ho mai sentito parlare) questa tradizione benefica. Vengono allestiti pranzi per i poveri e i disadattati a Natale e Pasqua presso le mense comunali, questo sì, ma che io sappia non esistono ricorrenze particolari nella tradizione locale. E come veneta me ne dispiaccio alquanto. Ma ho sperimentato personalmente che l’accoglienza è più un tesoro delle genti del sud che di noi nordici. Spero di sbagliarmi, eh!

    Un abbraccio, carissimo, e ti rinnovo i complimenti per i contenuti del tuo blog, che trovo sia un’oasi di serenità rara a trovarsi.

    Chiara

  13. lavelle il said:

    Bellissima la storia e belle le foto. Da noi, in Piemonte, e precisamente a Casale Monferrato in occasione di San Giuseppe si tiene la tradizionale fiera, che richiama gente da tutte le parti, con un grande lunapark, attrazioni varie ecc.Io la sentivo molto perchè era tradizione famigliare ritrovarsi tutti a casa di mio zio per un piccolo raduno. Ho postato nel mio blog la storia della fiera.

    Ciao a presto Massimo

  14. BibliotecadeBabel il said:

    Raccolgo il tuo invito con vero piacere, caro Paesanino, e lascio a te e ai tuoi amici e lettori questa immagine (sulla quale potete cliccare per ingrandirla) scattata a Giurdignano, in Salento, dove vengono imbandite le cosiddette Tavole di San Giuseppe. Non riuscivo a trovare i miei appunti per offrirti il dettaglio delle pietanze e dell’intero evento, poi mi sono ricordata di averli lasciati tra i commenti di un blogger amico l’anno passato. Sono andata a riprenderli e… mi hai fatto venire voglia di mettere giù qualche riga. Così, se avete pazienza, con il vostro permesso vado a fare il mio dovere e prima dell’ora di merenda apparecchio le Tavole anch’io. 🙂

  15. PortamiVia il said:

    Ho letto con interesse di queste usanze che non conoscevo. Nella zona del cosentino, alta Calabria quindi, non mi risulta ci siano simili tradizioni anche se le ricette viste mi sono familiari ma per la vigilia del Natale, infatti la pasta con la mollica è tipica della tavola povera della vigilia, quando ancora non si mangiava la carne per fare un sacrificio e non come si fa oggi che non si mangia la carne per lasciar spazio ad ogni tipo di pietanza di pesce, spesso costosissime e prelibate.

    Altro non so dirti ma chiederò a mia madre e ti farò sapere evntualmente.

    Grazie per i complimenti!

    A presto,

    Anna 🙂

  16. Paesanino il said:

    Un grazie di cuore a voi tutti, amici, che state arricchendo il post della devozione a San Giuseppe con notizie e suggestioni che arrivano davvero da ogni parte d’Italia (e fuori, vero Algonuevo?). Non mi soffermo a ringraziarvi uno per uno.
    Mi sia invece concesso di invitarvi a leggere il bellissimo post che BibliotecadeBabel ha dedicato alle Tavole di San Giuseppe  a Giurdignano nel Salento.
    Grazie ancora e un abbraccio a tutti voi.

  17. francifra il said:

    in questa metropoli moderna che è Milano, alcune tradizione sono andati perse.

    Ahimè..

  18. anonimo il said:

    La celebrazione di San Giuseppe è particolarmente sentita sul Carso

    triestino (Trieste) di tradizione contadina, coincide con la fine

    dell’inverno .

    Una lunga processione si snoda in faticosa salita fino alla chiesa

    che porta il nome del Santo, dopo la funzione tutto il paese di San

    Giuseppe è in festa, dolci tradizionali come frittelle e bignè diffondono

    il profumo unendosi a quello più lieve dei mazzetti di campo

    appesi ovunque a testa in giù, popolare allegria di anime semplici

    che ricordano così il protettore dei poveri, delle ragazze nubili,

    nonchè dei falegnami.

    A noi di città rimane “il business ” della festa del papà.

    Un inchino ai tuoi pensieri

    Patty

  19. duca1degli1abruzzi il said:

    Dalle nostre parti, ti parlo della zona di Chieti ed Ortona il festeggiamente di San Giuseppe esiste:mi viene in mente la ricorrenza di Villa Tucci di Crecchio. Un’usanza tipica come quella del tuo paese attualmente non esiste. Deve essersi cmq persa nel tempo. Un saluto. Duca

  20. blogadami il said:

    In un piccolo paese chiamato Guzzano vicino a Collodi(la terra di Pinocchio) facciamo la sera di sabato un grande fuoco, diciamo che arriva a quindici metri di fiamma, alla fine si cuociono carni e si danno ai presenti chiunque siano, il giorno dopo ci sono torte e biscotti in genere… purtroppo è una tradizione quasi estinta

  21. anonimo il said:

    Da noi – scrivo dal Canton Ticino (Svizzera) – non c’è questa tradizione. Per San Giuseppe si preparano i tortelli, fritti nell’olio, buonissimi e leggermente…ipercalorici;)

    MIRELLADEPARIS

  22. anonimo il said:

    MIRELLA DE PARIS!!!Da quale città del Canton Ticino scrivi???Io sono nata a Locarno e vissuta a Bellinzona, e torno sempre con piacere a rivedere i posti della mia infanzia. Dal 1981 vivo a Toro, paese del Paesanino :)Spero di sentirti!Un bacione, Cinzia

  23. ilreporter il said:

    Caro paesanino, ho l’impressione di non poterti aiutare: la mia città ha ricevuto “in dono” dal terremoto, quasi cento anni fa, una popolazione nuova di zecca e quanto mai variegata negli usi e nei costumi (comunque perduti via via per strada, tranne i focaracci del 27 Aprile per la nostra Maria di Pietracquaria). Ma per quanto io possa saperne (dal punto di vista dell’offerta alimentare e non solo) anche a me dintorno è il Santo Antonio a far la parte del leone.

    Mi ricordano però che è la festa del Papà Artigiano, il profumo dei bigné e un bacetto di mio figlio.

    Saluti

  24. anonimo il said:

    Bello e commovente il raconto, sorprendente la spontanea partecipazione dei lettori.

    Complimenti e saluti a tutti.

    Peppe Parziale

  25. anonimo il said:

    Mi è stato raccontato che il primo convito è nato a Toro per volontà del Santo, che pare sia andato in sogno a terze persone per fare, tramite loro, la richiesta esplicita ad una famiglia da Lui prescelta, di preparare un pranzo particolare in suo onore, (il convito appunto),i cui invitati sarebbero dovute essere tre persone da Lui stesso segnalate, che avrebbero rappresentato Maria, Giuseppe e il Bambino.

    Nel corso degli anni, la tradizione si è “allargata”, pertanto a tavola, alle tre persone della Sacra Famiglia, se ne sono aggiunte, via via, molte altre.

    Ora spetta a noi, giovani generazioni, il compito di mantenere viva nel tempo questa bellissima tradizione, anche se non con gli stessi sacrifici di chi l’ha iniziata, sempre consapevoli, però, che oggi nell’abbondanza, e allora nella povertà, cosa più gradita a San Giuseppe è unicamente il sacrificio della “preparazione” di questo pranzo veramente speciale.

    Grazie Paesanino, per questo commovente racconto e

    “Buon convito” a tutti!

    Incanto lirico

  26. maisenzailmare il said:

    Nel napoletano si friggono zeppole di pasta lievitata impastata assieme alle patate lesse e si rotolano nello zucchero e si infornano zeppole a bignè per riempirle di crema e decorarle con un’amarena.

  27. cicabu il said:

    Molto interessante il tuo post come sempre..

    Dalle mie parti(basso Piemonte) non mi pare esista una tradizione del genere..è invece usanza fare le frittelle che chiamiamo appunto di San Giuseppe..ti lascio la ricetta…

    Ingredienti per 8 porzioni

    Frittelle di San giuseppe

    150 farina + 50 gr. frumina(amido di frumento)

    1/4 litro acqua

    50 gr. zucchero

    4-5 uova

    1 cucchiaino lievito per dolci

    50 gr. burro

    sale

    Preparazione

    Portare acqua, burro e sale ad ebollizione in una pentola antiaderente. Togliere dal fuoco e versare in un colpo solo la farina setacciata con la frumina. Mescolare e rimettere sul fuoco per 1 minuto. Mettere la palla ancora calda in una terrina ed incorporare lo zucchero e le uova una alla volta finché la pasta fa delle punte lunghe. Far raffreddare, poi aggiungere il lievito . Formare le frittelle con due cucchiaini da tè e friggerle nell’olio ben caldo. Sgocciolare su carta da fritti e cospargere di zucchero.

  28. alessiobrugnoli il said:

    Pranzo, no… però c’era l’usanza di distribuire ai poveri le frittelle da parte delle parrocchie della Roma papalina

  29. darksylvia il said:

    Usanze o no mi è piaciuto molto il tuo modo di scrivere.

    La lunghezza di un racconto non ha importanza. Contano le sensazioni che prova il lettore.

    Io ne ho provate molte!

  30. Frank57 il said:

    Suggestivo racconto, non lo conoscevo e ignoravo pure che ci potesse essere una tradizione a rievocare la vicenda.

    Grazie per l’arricchimento e scusa il ritardo nella risposta.

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